Biografia
Andrea Cascella nasce a Pescara nel 1920 da una famiglia di tradizioni artistiche. Suoi primi maestri furono il nonno Basilio e il padre Tommaso entrambi pittori. La sua vita è stata influenzata da una lunga parentesi dovuta agli eventi bellici, la guerra dal 1940 al 1943 e dal 1943 al 1945, anni in cui partecipa attivamente alla resistenza in Piemonte. Nel dopoguerra a Roma si dedica con il fratello Piero alla ceramica e alla scultura in pietra applicata in particolar modo all’architettura. Nel 1970 inizia l’attività didattica: insegna all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila; dieci anni dopo diventa direttore dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano; nel 1988 viene nominato direttore dell’Accademia di Belle Arti “Aldo Galli” a Como. Ottiene numerosi riconoscimenti, tra cui nel 1964 alla Biennale di Venezia per la scultura, nel 1983 riceve la Medaglia d’oro dal Presidente della Repubblica ai benemeriti della scuola della Cultura e dell’Arte (ricevuti anche nel 1986 e nel 1990).
Passato attraverso la pittura e la ceramica, si è presto affermato come scultore. É stato presente a grandi rassegne internazionali, tra cui la Biennale di Venezia (premiato nel ’64), la Quadriennale di Roma, líesposizione della collezione Hirshorn al Museo Guggenheim di New York. Ha tenuto mostre personali a Venezia, Milano, Roma, Londra, Chicago, Tokyo, Los Angeles. Ha realizzato in collaborazione col fratello Pietro il Monumento ai caduti politici di Auschwitz e, tra le altre opere monumentali, l’altorilievo per la facciata dell’edificio Olivetti a Dusseldorf, un bassorilievo di 75 mq per la Olivetti di Buenos Aires, la piazza di Porto Rotondo, in Sardegna. Nel ’72 è stato commissario alla Biennale di Venezia ed ha poi diretto l’accademia di Brera. É morto a Milano nel 1990.
Hanno detto di lui
Di lui, discendente di una stirpe prolifica di artisti, è stato detto e scritto tanto.“Tutta la grande arte mediterranea è così sensuale e cinica e direi raffinata”sosteneva Andrea Cascella e forse in queste parole sintetizzava anche un po’ il suo essere uomo e artista. Flaminio Gualdoni, nel suo ricordo in catalogo, lo definisce in molti modi: “Giovanile, charmeur, indisponente, laico, laicissimo, disincantato d’ideologie e teorie, europeo … avventuroso, aperto alle contaminazioni e al nuovo, pragmatico, che pretendeva di non mutare il mondo ma di viverlo. … Moderno, perché altrimento non poteva essere. Orgoglioso sino alla vena arrogante, portato all’avventura, a sfidare il proprio limite, limite umano,… per conoscersi”.
Dal marmo, alla pietra, alla ceramica era sempre alla ricerca della forma “decisiva”, forte della sua esperienza, della sua tecnica, della profonda conoscenza dell’arte antica classica, ma facendo riferimento anche ad alcuni cardini forti dell’arte moderna come Arp, Brancusi, Giacometti, Picasso. Spiegava ai suoi allievi che “c’è senz’altro una componente meditativa sostanziale, che però si riconosce nella materia, nel dar forma alla sensualità. E’ l’intensità del toccare, del carezzare, del far vibrare quello che la materia ha dentro, secondo i tuoi umori, le tue emozioni. Di fronte a un marmo, a un granito, a una pietra, quello che pensi non è il rigore di costruire una forma netta, polita” come a dire che da “un’intuizione poetica può venire una formula matematica, e non viceversa“. (R.M.)